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NOTIZIE E AGGIORNAMENTI

è RISORTO

Gli auguri di padre Tonino Tomasoni
segretario del Centro Missioni

E' facile dire: “Cristo è risorto”... Ma ci crediamo veramente?
Nel Vangelo c'è un movimento sorprendente: le donne vanno al sepolcro con la tristezza nel cuore e se ne ritornano “in fretta con timore e gioia grande” per darne l'annuncio. Si parte da una morte e si conclude con una esplosione di vita, di missione, di Vangelo!... Così è la nostra vita. E' rinnovamento di ciò che sembra impossibile, è superamento delle barriere di morte, è proclamazione della vittoria di Dio sul male che sembra avere la meglio nel mondo. Chi può farsene l'abitudine? Solo lo stolto, il distratto, chi è cieco nel cuore. Stiamo vivendo un periodo dove lo strapotere della morte si fa sentire con particolare vigore. Ieri mi è arrivato un video tremendo di poco meno di un minuto. L'occhio della telecamera passava di stanza in stanza riprendendo i sacchi neri, contenenti i corpi di chi è stato falciato dal Covid19. Da piangere! Fino a pochi mesi fa si parlava di frontiere aperte. Ma quanta fatica si fa ad aprirsi al fratello! C'è sfiducia, c'è incertezza nell'economia, nella politica, c'è l'insicurezza del futuro. E' emerso tutto il grigiore a livello educativo, propositivo, senza dimenticare lo spettro della violenza, delle guerre... Pensate che in questo momento nel mondo intero sono in atto 54 guerre.   Allora, qual è la bella notizia? Il Risorto è capace di smantellare ogni nostro vecchio sistema. Il lievito è stato messo nella pasta del mondo. Il seme è gettato, la porta è aperta per tutti. Cristo ci riscatta tutti! Nessuno resti spettatore, a “guardare”, nessuno stia sulla soglia. Occorre entrare nel sepolcro per “vedere e credere”. E metterci subito in cammino per portare il lieto annuncio, l'annuncio di un evento che sta al centro di tutta la visione cristiana delle cose, e cioè che un uomo, uno della nostra famiglia, è risorto! Tante volte noi fermiamo la nostra attenzione su ciò che è imitabile di quanto Gesù ha compiuto: l'amore per il prossimo, l'aiuto ai poveri, la capacità di fare della propria vita un dono gratuito. Anche la contemplazione del Cristo crocifisso, cioè umiliato e sofferente, diventa un momento prezioso per noi che stiamo vivendo, nelle nostre vicissitudini personali e comunitarie, l'esperienza della sconfitta e del dolore. Ma non dobbiamo dimenticare la notizia più bella e travolgente: Gesù ha vinto la morte! Gesù è vivo! La vittoria di Gesù significa anche rivincita dell'uomo sulle forze del male. Carissimi vorrei che quest'anno vivessimo la Pasqua con questi sentimenti pieni di speranza.

Auguri di cuore a tutti!

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Ancora 1

IL GRIDO DEI POVERI

Padre Pier Aldo Delfino ci aggiorna sulla situazione a Capo Verde
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Sono padre Pier Aldo, missionario a Capo Verde, rientrato in Italia circa due mesi fa per i consueti controlli della salute. Rientrando ero ben lontano dal pensare che il momento critico vissuto dalla Cina potesse esplodere così repentinamente anche in Italia e in tutto il mondo. Ora mi trovo, come tutti, in stato di fermo straordinario a Fossano, dove ha sede il nostro Centro Missioni. Naturalmente tutti i programmi che avevo in mente sono saltati. In questo tempo mi sento sempre più in sintonia col mondo che soffre, in comunione con il dramma di moltissima gente che vive nel dolore, nella solitudine e nella disperazione a causa di questo terribile nemico invisibile e contemporaneamente partecipo, nella preghiera, agli enormi sforzi che gli addetti alla salute, insieme ai volontari, stanno compiendo. Il mio pensiero affettuoso e le mie preoccupazioni non possono fermarsi alla nostra situazione italiana; si estendono naturalmente a Capo Verde, dove vivo da 30 anni e dove ormai il mio cuore si è abituato a battere all’unisono con questa amata gente, accolta e servita come la mia famiglia. Vivo l’ansia e le paure del popolo capoverdiano che, pur non essendo ancora colpito in una forma amplificata, già sente l’affanno e il pericolo molto vicino. In questi primi giorni di aprile sono accertati solo 7 casi in tre isole. A tutt’oggi la popolazione è calma e serena, attenta nell’eseguire le disposizioni del Governo che è intervenuto subito con misure tempestive. Le strade sono vuote. Tutte le forze dell’ordine sono al lavoro unitamente alla protezione civile. La prescrizione per tutti è di stare a casa. Mi rendo conto quanto sia difficile e problematico per il capoverdiano rimanere in casa. Lo stare in casa richiede spazi e condizioni che le loro case generalmente non hanno. Sono piccole, per cui l'unico sfogo è uscire, giocare, parlare per strada che è come l’ambiente naturale. Vivere le regole dello stato di emergenza che il Presidente della Repubblica ha decretato per tutti fino al 17 aprile è assai complicato e richiede sacrifici al limite delle possibilità. C’è pure il problema della povertà, della scarsità delle risorse, senza possibilità di soddisfare le esigenze di alimentazione per le famiglie. Ogni famiglia in media ha 2-3 figli in età scolare o prescolare e la scuola, in tempi normali, offre loro anche il cibo. Ora trovandosi tutti in casa senza sussidi, la vita diventa molto dura. I Comuni, in collaborazione con enti pubblici e privati, parrocchie e comunità, hanno organizzato centri di distribuzione viveri ma quel che riescono a fare è poco rispetto alle necessità. Si fa appello alla solidarietà perché questa emergenza ci faccia sentire tutti uniti, per salvarci insieme. Il grido dei poveri, colpiti non solo dal virus, ma anche dalla miseria, sono una voce che non possiamo mettere a tacere con l’indifferenza, con il silenzio. Spero davvero che trovi in noi una partecipazione accorata e concreta. Questo in fondo è il messaggio, la lezione che ci viene da questa tragedia mondiale. Da questa umanità ferita, dolorante, angosciata, sfinita, uscirà con l’aiuto di Dio e l'impegno di tutti, un mondo nuovo a misura d’uomo, dove ci si accoglie, ci si aiuta, e ci si riconosce per quello che siamo: creati dalle mani di Dio e salvati dalle mani crocifisse, grondanti vita e amore del suo Figlio Gesù. Questo ci auguriamo tutti di vero cuore.

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Buona Pasqua!

Ancora 2

UNA SOSTA INATTESA
A SAO TOMè

Padre Antonio Fidalgo ci scrive da Sao Tomé
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Son venuto a San Tomé e Principe, come superiore dei Frati di Capo Verde, a visitare i nostri tre confratelli che lavorano qui e sono stato sorpreso dalla improvvisa chiusura della frontiera tra i due paesi. Non me l’aspettavo proprio. Però questa esperienza mi sta aiutando a capire meglio San Tomé e Principe e la sua gente, ma anche a prendere coscienza delle sfide che questa fraternità è chiamata ad affrontare soprattutto in questi giorni del corona virus. Proprio ieri il governo di queste due isole del golfo della Guinea ha annunciato i primi 4 casi del Covit-19. Era del resto illusorio pensare che San Tomé e Principe potesse restare libero da questa terribile pandemia, anche con le frontiere chiuse. I quattro casi di infezione sono stati scoperti tra i più di un centinaio di passeggeri rimpatriati dall’Europa e posti in quarantena. Ora la domanda è: si riuscirà ad evitare la propagazione? Qualcuno ci ha raccontato che l’hotel dove i passeggeri erano confinati non ha mantenuto le regole, permettendo che essi fossero visitati dalle rispettive moglie. Si tenga conto che mentre Capo Verde. con tutti i suoi limiti, può realizzare 300 test al giorno, S. Tomé e Principe non dispone di un laboratorio per fare i test del corona virus e deve inviare all’estero i campioni di sangue. Non parliamo poi della povertà della gente e della debolezza delle strutture sanitarie in genere. Comunque, gli organismi internazionali come pure i paesi amici stanno attenti e prorprio oggi ho saputo che la Cina, che secondo alcuni sta vincendo questa prima e vera guerra mondiale, deve arrivare brevemente con apparecchiature e medici per soccorrere S. Tomé e Principe. E come non dire evviva la Cina? Prima di finire, do uno sguardo alla Stampa e leggo che in Italia sta iniziando finalmente la discesa dei numeri dei contagi e dei deceduti. Come non rallegrarcene? Qui tutti i giorni facciamo la preghiera per il mondo intero, in questo tempo del corona virus e c’è sempre un pensiero speciale per l’Italia. Sì, l’Italia e tutto il mondo vinceranno, con l’aiuto di Dio.

Ancora 3

Padre Camillo TORASSA

in memoria

Fra Camillo è nato a Saluzzo il 17 ottobre 1929, figlio di Giuseppe e Margherita Allione. entrò nell’Ordine dei Cappuccini nel luglio del 1947 e fu ordinato sacerdote nel febbraio del 1954. Il suo arrivo a Capo Verde avvenne nel 1960 e fu destinato a San Lorenzo di Fogo fino all’anno seguente quando fu trasferito a San Filipe dove lavorò prima come vice parroco e dopo come parroco fino a 1992. L’opera più significativa di Padre Camillo in questa città è da tutti conosciuta come “Scuola Materna di San Francesco d’Assisi”, costruita nel decennio del 1960. Tra le cappelle progettate e costruite da padre Camillo abbiamo la significativa cappella di Nossa Senhora Rainha de Cabo Verde a Chã das Caldeiras, che infelicemente fu divorata dalla lava nella recente eruzione. Degno di nota fu il suo sforzo per introdurre la lingua Criola nell’eucaristia, traducendo tutti i testi biblici della Liturgia eucaristica, testi questi furono anche utilizzati a San Lorenzo e a Boston. Nel 1992 i Cappuccini lasciarono la parrocchia di Nossa Senhora da Conceição e il padre Camillo fu chiamato ad altri compiti come a San Vicente, dove contribuì a dare identità e forza alla prima radio privata di Capo Verde nel primo periodo post-indipendenza, Rádio Nova, emittente Cristiana di Capo Verde. Fu eletto Superiore dei Cappuccini di Capo Verde nel 1996 incarico che esercitò fino al 2002. Terminato questo servizio padre Camillo venne trasferito sull’isola di Brava con la nomina di parroco da parte del vescovo mons. Paolino. Dall’isola di Fogo passò alla fraternità Cappuccina di Achada San Filipe nella Città di Praia. Ma il suo cuore continuava a battere forte per la sua isola di Fogo. I Superiori capirono. Anche il popolo di questa isola insisteva: «vogliamo il ritorno del nostro padre Camillo». e fu così che egli ritornò nuovamente nella sua isola di Fogo accolto in San Filipe nel Centro Madre Teresa di Calcuta dalle suore Francescane che tanto bene seppero rendersi cura di lui fino all’ultima ora, fino a questo 10 di agosto 2018 festa liturgica di San Lorenzo diacono e martire. Pensiamo che in nessun’altra isola egli si sarebbe spinto così a casa. Di fatto egli poteva dire con tutta sincerità: «Ê li qui ê nha tchon » (che potremmo tradurre come «è qui la mia casa/terra») che ora riceve riconoscente i resti mortali in quanto la sua anima è affidata a Dio.

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padre Antonio Fidalgo de Barros

Cari fratelli e sorelle,

 

Desidero esprimere la mia gratitudine a Dio per l’impegno con cui in tutta la Chiesa è stato vissuto, lo scorso ottobre, il Mese Missionario Straordinario. Sono convinto che esso ha contribuito a stimolare la conversione missionaria in tante comunità, sulla via indicata dal tema “Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo in missione nel mondo”.

 

In questo anno, segnato dalle sofferenze e dalle sfide procurate dalla pandemia da covid 19, questo cammino missionario di tutta la Chiesa prosegue alla luce della parola che troviamo nel racconto della vocazione del profeta Isaia: «Eccomi, manda me» (Is 6,8). È la risposta sempre nuova alla domanda del Signore: «Chi manderò?» (ibid.). Questa chiamata proviene dal cuore di Dio, dalla sua misericordia che interpella sia la Chiesa sia l’umanità nell’attuale crisi mondiale. «Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca... ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: “Siamo perduti” (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme» (Meditazione in Piazza San Pietro, 27 marzo 2020). Siamo veramente spaventati, disorientati e impauriti. Il dolore e la morte ci fanno sperimentare la nostra fragilità umana; ma nello stesso tempo ci riconosciamo tutti partecipi di un forte desiderio di vita e di liberazione dal male. In questo contesto, la chiamata alla missione, l’invito ad uscire da sé stessi per amore di Dio e del prossimo si presenta come opportunità di condivisione, di servizio, di intercessione. La missione che Dio affida a ciascuno fa passare dall’io pauroso e chiuso all’io ritrovato e rinnovato dal dono di sé.

Nel sacrificio della croce, dove si compie la missione di Gesù (cfr Gv 19,28-30), Dio rivela che il suo amore è per ognuno e per tutti (cfr Gv 19,26-27). E ci chiede la nostra personale disponibilità ad essere inviati, perché Egli è Amore in perenne movimento di missione, sempre in uscita da sé stesso per dare vita. Per amore degli uomini, Dio Padre ha inviato il Figlio Gesù (cfr Gv 3,16). Gesù è il Missionario del Padre: la sua Persona e la sua opera sono interamente obbedienza alla volontà del Padre (cfr Gv 4,34; 6,38; 8,12-30; Eb 10,5-10). A sua volta Gesù, crocifisso e risorto per noi, ci attrae nel suo movimento di amore, con il suo stesso Spirito, il quale anima la Chiesa, fa di noi dei discepoli di Cristo e ci invia in missione verso il mondo e le genti.

«La missione, la “Chiesa in uscita” non sono un programma, una intenzione da realizzare per sforzo di volontà. È Cristo che fa uscire la Chiesa da se stessa. Nella missione di annunciare il Vangelo, tu ti muovi perché lo Spirito ti spinge e ti porta» (Senza di Lui non possiamo far nulla, LEV-San Paolo, 2019, 16-17). Dio ci ama sempre per primo e con questo amore ci incontra e ci chiama. La nostra vocazione personale proviene dal fatto che siamo figli e figlie di Dio nella Chiesa, sua famiglia, fratelli e sorelle in quella carità che Gesù ci ha testimoniato. Tutti, però, hanno una dignità umana fondata sulla chiamata divina ad essere figli di Dio, a diventare, nel sacramento del Battesimo e nella libertà della fede, ciò che sono da sempre nel cuore di Dio.

Già l’aver ricevuto gratuitamente la vita costituisce un implicito invito ad entrare nella dinamica del dono di sé: un seme che, nei battezzati, prenderà forma matura come risposta d’amore nel matrimonio e nella verginità per il Regno di Dio. La vita umana nasce dall’amore di Dio, cresce nell’amore e tende verso l’amore. Nessuno è escluso dall’amore di Dio, e nel santo sacrificio di Gesù Figlio sulla croce Dio ha vinto il peccato e la morte (cfr Rm 8,31-39). Per Dio, il male – persino il peccato – diventa una sfida ad amare e amare sempre di più (cfr Mt 5,38-48; Lc 23,33-34). Perciò, nel Mistero pasquale, la divina misericordia guarisce la ferita originaria dell’umanità e si riversa sull’universo intero. La Chiesa, sacramento universale dell’amore di Dio per il mondo, continua nella storia la missione di Gesù e ci invia dappertutto affinché, attraverso la nostra testimonianza della fede e l’annuncio del Vangelo, Dio manifesti ancora il suo amore e possa toccare e trasformare cuori, menti, corpi, società e culture in ogni luogo e tempo.

La missione è risposta, libera e consapevole, alla chiamata di Dio. Ma questa chiamata possiamo percepirla solo quando viviamo un rapporto personale di amore con Gesù vivo nella sua Chiesa. Chiediamoci: siamo pronti ad accogliere la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, ad ascoltare la chiamata alla missione, sia nella via del matrimonio, sia in quella della verginità consacrata o del sacerdozio ordinato, e comunque nella vita ordinaria di tutti i giorni? Siamo disposti ad essere inviati ovunque per testimoniare la nostra fede in Dio Padre misericordioso, per proclamare il Vangelo della salvezza di Gesù Cristo, per condividere la vita divina dello Spirito Santo edificando la Chiesa? Come Maria, la madre di Gesù, siamo pronti ad essere senza riserve al servizio della volontà di Dio (cfr Lc 1,38)? Questa disponibilità interiore è molto importante per poter rispondere a Dio: “Eccomi, Signore, manda me” (cfr Is 6,8). E questo non in astratto, ma nell’oggi della Chiesa e della storia.

Capire che cosa Dio ci stia dicendo in questi tempi di pandemia  diventa una sfida anche per la missione della Chiesa. La malattia, la sofferenza, la paura, l’isolamento ci interpellano. La povertà di chi muore solo, di chi è abbandonato a sé stesso, di chi perde il lavoro e il salario, di chi non ha casa e cibo ci interroga. Obbligati alla distanza fisica e a rimanere a casa, siamo invitati a riscoprire che abbiamo bisogno delle relazioni sociali, e anche della relazione comunitaria con Dio. Lungi dall’aumentare la diffidenza e l’indifferenza, questa condizione dovrebbe renderci più attenti al nostro modo di relazionarci con gli altri. E la preghiera, in cui Dio tocca e muove il nostro cuore, ci apre ai bisogni di amore, di dignità e di libertà dei nostri fratelli, come pure alla cura per tutto il creato. L’impossibilità di riunirci come Chiesa per celebrare l’Eucaristia ci ha fatto condividere la condizione di tante comunità cristiane che non possono celebrare la Messa ogni domenica. In questo contesto, la domanda che Dio pone: «Chi manderò?», ci viene nuovamente rivolta e attende da noi una risposta generosa e convinta: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8). Dio continua a cercare chi inviare al mondo e alle genti per testimoniare il suo amore, la sua salvezza dal peccato e dalla morte, la sua liberazione dal male (cfr Mt 9,35-38; Lc 10,1-12).

Celebrare la Giornata Missionaria Mondiale significa anche riaffermare come la preghiera, la riflessione e l’aiuto materiale delle vostre offerte sono opportunità per partecipare attivamente alla missione di Gesù nella sua Chiesa. La carità espressa nelle collette delle celebrazioni liturgiche della terza domenica di ottobre ha lo scopo di sostenere il lavoro missionario svolto a mio nome dalle Pontificie Opere Missionarie, per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese in tutto il mondo per la salvezza di tutti.

La Santissima Vergine Maria, Stella dell’evangelizzazione e Consolatrice degli afflitti, discepola missionaria del proprio Figlio Gesù, continui a intercedere per noi e a sostenerci.

Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste

 

Franciscus

Roma, San Giovanni in Laterano, 31 maggio 2020, Solennità di Pentecoste

 

Franciscus

Ancora 4
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